TRIBUNALE ORDINARIO DI TIVOLI ufficio del giudice per le indagini preliminari Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Tivoli, dott. Mario Parisi; propone questione di legittimita' costituzionale dell'art. 76, comma 4-ter del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui, come interpretato dalla Suprema corte di cassazione, determina l'automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma 1 e senza riservare alcuno spazio di apprezzamento e discrezionalita' valutativa al giudice, ritenendo tale disposizione in contrasto e violazione dei principi sanciti dagli articoli 3 e 24, comma 3 della Costituzione. Fatto e rilevanza della questione In data 20 maggio 2019 il difensore di C.A., n. ..., parte offesa nel procedimento penale n. 7237/016 rgnr nei confronti di D.L.F. per il reato di cui all'art. 609-bis del codice penale, ha depositato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non rendendo la dichiarazione - pur prevista dall'art. 79, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, a pena di inammissibilita' dell'istanza - attestante la sussistenza delle condizioni di reddito stabilite per l'ammissione. Il giudice, con ordinanza interlocutoria notificata al difensore, ha sospeso l'esame dell'istanza di ammissione al beneficio, invitando ad integrarla con l'indicazione delle condizioni reddituali e patrimoniali dell'istante. Viceversa, in data 3 ottobre 2019 il difensore dell'istante, ricusando di ottemperare alla sollecitazione giudiziale, ha depositato una nota in cui osserva che il reato di cui all'art. 609-bis del codice penale oggetto del procedimento e' «tra quelli per i quali il patrocinio a spese dello Stato e' sempre concesso alla parte offesa prescindendo dalle condizioni reddituali», e che, di conseguenza, «le richieste del giudice ... non appaiono motivate rispetto al procedimento in quanto nessuna analisi delle condizioni reddituali dell'istante deve compiere il giudice, a differenza dei procedimenti ordinari, in quanto il requisito non e' richiesto nella particolare fattispecie della vittima del reato di violenza sessuale ...». Osserva ancora il difensore che «al di la' della locuzione "PUO' CONCEDERE" inserita nella prefata disposizione di legge, il giudice difetti di qualsiasi discrezionalita' in merito alla concessione del beneficio invocato dall'istante in rapporto alle condizioni reddituali, mentre rimanga riservato al giudice l'accertamento che il procedimento riguardi effettivamente la violazione di una delle fattispecie previste nella disposizione e che l'istante sia effettivamente vittima del reato (e non semplice danneggiato dal reato) ...». Il difensore dell'istante, infine, a sostegno della propria tesi, richiama la sentenza emessa da Cassazione IV 15 febbraio 2017, n. 13497, che ha affermato quei principi, e la successiva sentenza emessa da Cassazione IV 10 ottobre 2018, n. 52822 che, pur pronunciandosi su altra questione, in motivazione ha incidentalmente cio' ribadito. Non manifesta infondatezza Con la pronuncia n. 13497 del 15 febbraio 2017 la Suprema corte di cassazione, pronunciandosi direttamente sulla questione in discorso, ha affermato, infatti, il diritto assoluto della persona offesa da uno dei reati indicati nella norma a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire quella qualifica, a prescindere dalle proprie condizioni di reddito, che, dunque, non devono neanche essere oggetto di dichiarazione o attestazione ai sensi del successivo art. 79, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica citato. La Corte e' giunta a tale conclusione ritenendo che l'espressione contenuta nella norma «puo' essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto» vada intesa come «deve essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto». Si legge nella invero succinta motivazione spesa sul punto che tale interpretazione e' determinata dalla ratio della norma: «Tale interpretazione si impone in prospettiva teleologica posto che la finalita' della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuita' dell'assistenza legale.». Poco prima, nell'escludere l'operativita' della norma a favore del soggetto danneggiato dal reato, la Corte aveva piu' incisivamente affermato che «la finalita' della legge n. 38 del 2009 (e delle successive modificazioni) non puo' che essere quella di rimuovere ogni possibile ostacolo (anche economico) che possa disincentivare un soggetto, gia' in condizioni di disagio, ad agire in giudizio». La conseguenza, secondo tale lettura, e' che «l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta dalla persona offesa di uno dei reati elencati dalla norma necessita solo del requisiti di cui all'art. 79 T.U.S.G. comma 1, lettere a) e b).», ed il giudice non puo' negare l'ammissione al beneficio sulla sola base della mancata dichiarazione relativa alle condizioni reddituali, visto che la norma «non individua massimi reddituali idonei ad escludere il diritto in argomento». L'interpretazione proposta dalla pronuncia e' stata successivamente recepita: anche in Cassazione, sezione IV, 10 ottobre 2018, n. 52822, si afferma infatti che l'art. 76, comma 4-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 «esonera determinati soggetti dalla certificazione di determinati limiti reddituali» e che quella ricorrente (persona offesa dal reato di cui all'art. 572 del codice penale) «aveva maturato il diritto a conservare l'ufficio del gratuito patrocinio a prescindere da qualsiasi limite reddituale, con l'ulteriore effetto che doveva ritenersi del tutto ininfluente tanto l'accertamento dell'inosservanza dell'onerata all'impegno di comunicare variazione reddituali "rilevanti", laddove le stesse rilevanti non sarebbero comunque risultate, ... quanto l'accertamento dell'ufficio finanziario competente sulla sopravvenuta mancanza delle condizioni di reddito.». Tale interpretazione, dunque, non e' occasionale e va ad istituire un automatismo legislativo poiche', al solo verificarsi del suo presupposto - assumere l'istante la veste procedimentale di persona offesa di uno dei reati indicati dalla norma -, determina una conseguenza inderogabile, ossia l'ammissione al beneficio. E si tratta di un automatismo perche' e' regola priva di flessibilita', insuscettibile di eccezione e di qualsiasi modulazione applicativa, nel senso che si applica in ugual modo a tutti coloro che si trovano nella situazione di fatto-presupposto. E, come accade per ogni automatismo, si determinano ricadute negative sul principio di uguaglianza, poiche', generalizzandosi, vengono assimilate tra di loro situazioni diverse e non assimilabili, allorquando, invece, l'ordinamento e' tenuto, in forza del principio di uguaglianza, a dare conto delle differenze tra gli individui, lasciando al giudice una riserva di spazio valutativo. La Corte di cassazione (interpretando il letterale «puo'» come sostanziale «deve») invece esclude proprio tale margine di valutazione giudiziale, imponendo l'ammissione automatica al beneficio e qualificando come superflua la autocertificazione reddituale pur tuttora richiesta dal combinato delle disposizioni vigenti. Ne resta cosi' impedito a priori qualsiasi apprezzamento delle disponibilita' e capacita' economiche e patrimoniali dell'istante, negandosi al giudice la possibilita' di respingere l'istanza persino nel caso in cui i redditi percepiti dalla persona offesa siano talmente elevati da far escludere con ogni sicurezza la necessita' del supporto economico dello Stato e il ricorrere della stessa ratio giustificatrice dell'art. 76, comma 4-ter. Tali ripetute affermazioni del giudice di legittimita' e l'assenza di decisioni di segno diverso rendono ormai diritto vivente la descritta interpretazione dell'art. 76, comma 4-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, ponendo il giudice dinanzi all'alternativa di uniformarvisi o di rendere un provvedimento difforme e di segno negativo, verosimilmente destinato all'annullamento o alla riforma. Si tratta di una condizione ritenuta di sicura rilevanza dalla stessa Corte costituzionale: «... pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), e' altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza - al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente" - e' ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita' e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalita', poiche' la norma vive ormai nell'ordinamento in modo cosi radicato che e' difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte» (Corte costituzionale, sentenza n. 350/1997); l'intervento del giudice delle leggi e' possibile, dunque, anche «allorquando il giudice remittente ha l'alternativa di adeguarsi ad un'interpretazione che non condivide o assumere una pronuncia in contrasto, probabilmente destinata ad essere riformata» (Corte costituzionale n. 240/2016). La prospettiva ermeneutica-teleologica coltivata dalla Corte di cassazione fa perno sulle ragioni per cui il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38) aggiunse il comma 4-ter all'art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002: «... la finalita' della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuita' dell'assistenza legale ... la finalita' della legge n. 38 del 2009 (e delle successive modificazioni) non puo' che essere quella di rimuovere ogni possibile ostacolo (anche economico) che possa disincentivare un soggetto, gia' in condizioni di disagio, ad agire in giudizio.». Da cio' la Corte di cassazione fa discendere il diritto della persona offesa da alcune tipologie di reati a fruire del patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni e limiti di reddito previsti in tutti gli altri casi; cosi' interpretata, tuttavia, e nella parte in cui viene impedita qualsiasi valutazione del giudice (invero letteralmente pur suggerita dalla norma con l'uso del verbo «puo'», e non «deve») circa le condizioni reddituali della persona offesa e la condotta concretamente posta in essere, la disposizione si pone in aperto conflitto con l'art. 3 della Carta costituzionale. Essa, infatti, disciplina in modo identico (l'ammissione al beneficio a prescindere dalle condizioni di reddito) situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico e radicalmente diverse fra loro, estendendo quanto opportunamente previsto in favore di soggetti dalle ordinarie capacita' di spesa anche a persone in possesso di redditi elevatissimi o di pingui patrimoni. Impedire al giudice di apprezzare le condizioni reddituali e patrimoniali della persona offesa da uno di quei reati che chieda l'ammissione al gratuito patrocinio (al punto da vietargli di richiedere la relativa dichiarazione pur prescritta dall'art. 79, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002) significa precludere ogni verifica giudiziale circa il possibile ricorrere, o la sicura assenza, di ostacoli e remare di indole economica che la norma intende rimuovere trasferendo sulla collettivita' i costi della difesa tecnica. L'ammissione indiscriminata al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati porta a destinare obbligatoriamente il gratuito patrocinio anche a soggetti le cui straordinarie o eccezionali capacita' economiche siano di pubblico dominio, tali da non richiedere neanche un provvedimento interlocutorio di integrazione documentale come quello adottato da questo giudice nella procedura di cui e' causa. Consentire, allora, al giudice di valutare le condizioni reddituali della persona offesa richiedente significa evitare il detto profilo di contrasto della norma con l'art. 3 della Costituzione, ossia evitare che, adottando lo stesso provvedimento a favore di soggetti in condizioni profondamente diverse tra loro, si regolino in modo identico situazioni diverse, disomogenee e non assimilabili, inducendo anche irragionevoli e non giustificati aggravi per il pubblico erario. La stessa Corte costituzionale ha infatti ritenuto che «In tema di patrocinio a spese dello Stato, e' cruciale l'individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessita' di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia. Del resto, nella giurisprudenza di questa Corte al riguardo (da ultimo, sentenza n. 178 del 2017) e' frequente il riferimento al generale obbiettivo di limitare le spese giudiziali ...» (sentenza n. 16 del 2018). In tale prospettiva di salvaguardia dell'equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia, il precetto posto dall'art. 24, comma 3 della Costituzione, si pone, allora, non solo come primario strumento di garanzia per assicurare ai non abbienti l'effettivo esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, ma anche quale presidio diretto ad evitare che gli oneri che ne conseguono siano aggravati da improprie e ingiustificate estensioni dei benefici a soggetti non ragionevolmente definibili «non abbienti» e pertanto non bisognosi del sostegno economico della collettivita'. Sulla base delle considerazioni svolte, questo giudice ritiene che la procedura instaurata dalla difesa della persona C.A. con il deposito dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione sulla legittimita' costituzionale dell'art. 76, comma 4-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte in cui, secondo diritto vivente, dispone l'ammissione ex lege delle persone offese dai reati specificamente indicati a prescindere da qualsiasi indicazione e valutazione delle loro condizioni reddituali. Ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 dell'11 maggio 1983, dispone pertanto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende la procedura in corso.